5 cattive conseguenze del Multitasking

Noi che non abbiamo teorie, ma amiamo apprendere le cose con consapevolezza, abbiamo provato a identificare le 5 tendenze che il multitasking può portare all'interno della nostra vita lavorativa.

Diminuzione della produttività

La sensazione di fare molte più cose solo perché si fanno contemporaneamente è una chimera. Ogni volta che passiamo da un'attività all'altra il cervello impiega tempo ed energie, motivo per il quale rimbalzare continuamente da un'attività all'altra ci fa sostanzialmente perdere tempo, a scapito della qualità del prodotto finito (il nostro lavoro).

Incremento degli errori

Sappiamo che l'attenzione è una risorsa scarsa, e alternare velocemente compiti diversi, lavorare a spizzichi e bocconi su questo e su quell'altro, tenendo d'occhio e-mail e telefono, mette a dura prova le nostre capacità di attenzione e di concentrazione. Con la conseguenza che lavoriamo in modo più superficiale e sbagliamo di più.

Aumento della frustrazione

La continua rincorsa al completamento di task e 'cose da fare' in un tempo sempre più limitato, insieme all'accumulo di arretrati, fa crescere in ognuno di noi la sensazione di non fare abbastanza. Anche se completiamo l'80% delle cose che abbiamo in agenda, il cervello si concentra sul restante 20%, generando una frustrazione latente che può minare il livello di soddisfazione lavorativa.

Peggioramento delle relazioni

Dedicare costantemente agli altri un'attenzione parziale e frammentata mentre cerchi di concentrarti sul tuo lavoro, non fa bene alle relazioni. Se concediamo un'attenzione superficiale alle loro richieste, non riusciremo certamente a contestualizzarle (tempi, modi, stati d'animo, etc…), minando con il tempo lo stato di empatia e di conseguenza il consolidamento del rapporto.

Innalzamento del livello di stress

La sommatoria di tutte queste sensazioni acuisce in molti soggetti l'innalzamento del livello di stress, che può portare a livello personale alla comparsa di sintomi di natura medica (che si palesano anche nella vita privata), ma a livello aziendale può fare danni ancora più grandi portando all'incremento dell'assenteismo e del turnover.

La Legge di Parkinson e la gestione del tempo

Ma quindi, se questo è lo scenario, chi ci può salvare? Ovviamente la risposta non può che essere 'noi stessi' e per suffragare questo modo di ragionare, prendiamo a prestito il concetto della 'Legge di Parkinson' applicato al contesto lavorativo. Il titolo originale è Parkinson's Law ed è un saggio del 1958 che racconta in modo ironico e leggero una profonda verità che si riferisce alla crescita aziendale e racconta che questa non è direttamente proporzionale al lavoro da svolgere. In buona sostanza sostiene:

'Più tempo si ha a disposizione per compiere una cosa (o ci si dà per compiere quella cosa), più tempo si impiegherà per compiere quella cosa'.

A pensarci bene è illuminante come concetto. Per ottimizzare le tempistiche di esecuzione dei compiti è quindi necessario un lavoro preliminare di definizione dei timing necessari stimati, che diventano un driver per la nostra auto-valutazione e soprattutto un incentivo all'auto-miglioramento. Detto fatto quindi? Ovviamente no, perché esso stesso è un processo che richiede tempo e dedizione, ma approcciarsi ad esso con consapevolezza e volontà di miglioramento è già un primo passo per cercare di ottimizzare il modo in cui affrontiamo le nostre giornate lavorative.