Festività natalizie e... indigestione.
Per noi italiani le festività natalizie rappresentano un momento dedicato alla famiglia, alla spiritualità, ai parenti ritrovati... e a quelli che evitate tutto l'anno, ma a natale vi tocca! Tuttavia, in assoluto, le gioie e i dolori di questo periodo sono loro, le grandi abbuffate... gli spuntini fuori orario fino a notte fonda, tra la tombola e le giocate a carte. Ma soprattutto dolci… tanti dolci natalizi… torroni, panettoni, pandoro… e chi più ne ha più ne "magna"! Beato chi ha uno stomaco di ferro perchè, spesso, il risultato di tutto questo cibo sono le indigestioni tipiche del periodo; mal di stomaco, bruciore, alito pesante, evacuazione irregolare, mal di testa, sonnolenza e affaticamento. Per avere un poco di sollievo, possono essere utili dei rimedi tradizionali come il classico 'Canarino', un decotto di bucce di limone e foglie di alloro, oppure le tisane digestive dopo pasto o quelle a base di semi di finocchio, menta, zenzero e limone o cannella.
Se i disturbi dovessero essere ben precisi, si può ricorrere a farmaci di automedicazione specifici, come ad esempio quelli contro la nausea dovuta a un rallentamento del transito gastro-intestinale (es. Geffer granulato e Maalox Nausea), quelli contro gli spasmi dolorosi dell'intestino (es. Antispasmina colica forte) oppure i farmaci che aiutano ad eliminare l'eccesso di gas intestinali responsabili di gonfiori e coliche (es. carbone vegetale, Mylicon gas). Se si soffre di reflusso gastro-esofageo e bruciore di stomaco, ovviamente l'alimentazione offerta dai banchetti delle feste non fa altro che peggiorare la situazione ed in questi casi si può ricorrere a farmaci antiacidi (es. Gaviscon, Biochetasi) o a farmaci inibitori di pompa protonica (es. Nexium Control). Per dare tregua al fegato sarebbe bene utilizzare degli integratori deputati alla sua depurazione (es. Fegato forte). Ovviamente in presenza di patologie concomitanti, noi farmacisti vi consigliamo sempre di consultare il vostro medico che vi fornirà un trattamento specifico al vostro caso.
Un Dante dei giorni nostri direbbe "Fino al 6 Gennaio, lasciate ogni speranza con le vostre diete".
Non dimenticate di fare almeno delle lunghe passeggiate e nei giorni di normale routine quotidiana, sebbene abbiate la sensazione che i vostri avanzi natalizi vi guardino dal frigo con occhi languidi, cercate di mantenere un'alimentazione quanto più possibile corretta. Ci risentiamo a Gennaio con dei consigli utili per depurarsi e rimettersi in forma!
Felice fine anno e buon inizio di 2022!
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Secondo la tradizione, nella notte tra l'uno e il due di novembre, i nostri cari defunti tornano a farci visita, soprattutto ai nipotini, ai figli… a quei bambini che non hanno avuto la fortuna di vedere crescere. A loro lasciano un regalino ben nascosto in casa che poi, i bambini, l'indomani mattina, dovranno cercare. Un giorno malinconico si trasforma così in un giorno di festa nel ricordo di chi ci ha lasciato rendendo viva la sua presenza nella gioia dei bambini e nel cuore di tutti noi. Il Maestro Andrea Camilleri ha saputo descrivere alla perfezione cosa significa il 2 novembre per le famiglie siciliane:
'Fino al 1943, nella nottata che passava tra il primo e il due di novembre, ogni casa siciliana dove c'era un picciriddo si popolava di morti a lui familiari. Non fantasmi col linzòlo bianco e con lo scrùscio di catene, si badi bene, non quelli che fanno spavento, ma tali e quali si vedevano nelle fotografie esposte in salotto, consunti, il mezzo sorriso d'occasione stampato sulla faccia, il vestito buono stirato a regola d'arte, non facevano nessuna differenza coi vivi. Noi nicareddi, prima di andarci a coricare, mettevamo sotto il letto un cesto di vimini (la grandezza variava a seconda dei soldi che c'erano in famiglia) che nottetempo i cari morti avrebbero riempito di dolci e di regali che avremmo trovato il 2 mattina, al risveglio.
Eccitati, sudatizzi, faticavamo a pigliare sonno: volevamo vederli, i nostri morti, mentre con passo leggero venivano al letto, ci facevano una carezza, si calavano a pigliare il cesto. Dopo un sonno agitato ci svegliavamo all'alba per andare alla cerca. Perché i morti avevano voglia di giocare con noi, di darci spasso, e perciò il cesto non lo rimettevano dove l'avevano trovato, ma andavano a nasconderlo accuratamente, bisognava cercarlo casa casa. Mai più riproverò il batticuore della trovatura quando sopra un armadio o darrè una porta scoprivo il cesto stracolmo. I giocattoli erano trenini di latta, automobiline di legno, bambole di pezza, cubi di legno che formavano paesaggi. Avevo 8 anni quando nonno Giuseppe, lungamente supplicato nelle mie preghiere, mi portò dall'aldilà il mitico Meccano e per la felicità mi scoppiò qualche linea di febbre.
I dolci erano quelli rituali, detti 'dei morti': marzapane modellato e dipinto da sembrare frutta, 'rami di meli' fatti di farina e miele, 'mustazzola' di vino cotto e altre delizie come viscotti regina, tetù, carcagnette. Non mancava mai il 'pupo di zucchero' che in genere raffigurava un bersagliere e con la tromba in bocca o una coloratissima ballerina in un passo di danza. A un certo momento della matinata, pettinati e col vestito in ordine, andavamo con la famiglia al camposanto a salutare e a ringraziare i morti. Per noi picciliddri era una festa, sciamavamo lungo i viottoli per incontrarci con gli amici, i compagni di scuola: «Che ti portarono quest'anno i morti?». Domanda che non facemmo a Tatuzzo Prestìa, che aveva la nostra età precisa, quel 2 novembre quando lo vedemmo ritto e composto davanti alla tomba di suo padre, scomparso l'anno prima, mentre reggeva il manubrio di uno sparluccicante triciclo.
Insomma il 2 di novembre ricambiavamo la visita che i morti ci avevano fatto il giorno avanti: non era un rito, ma un'affettuosa consuetudine. Poi, nel 1943, con i soldati americani arrivò macari l'albero di Natale e lentamente, anno appresso anno, i morti persero la strada che li portava nelle case dove li aspettavano, felici e svegli fino allo spàsimo, i figli o i figli dei figli. Peccato. Avevamo perduto la possibilità di toccare con mano, materialmente, quel filo che lega la nostra storia personale a quella di chi ci aveva preceduto e 'stampato', come in questi ultimi anni ci hanno spiegato gli scienziati. Mentre oggi quel filo lo si può indovinare solo attraverso un microscopio fantascientifico. E così diventiamo più poveri: Montaigne ha scritto che la meditazione sulla morte è meditazione sulla libertà, perché chi ha appreso a morire ha disimparato a servire.'