Inflazione e tassi di interesse

Nella, nostra ultima nota di qualche giorno fa avevamo scritto: “Da qui in avanti i mercati guarderanno allo sviluppo della ripresa economica, al fenomeno inflazione (causato in buona parte da fattori contingenti alla pandemia) e conseguente gestione della politica monetaria delle banche centrali che sappiamo essere “gli arbitri” più importanti sui mercati finanziari (obiettivo principale delle banche centrali è proprio la stabilità dei prezzi).

Inflazione e tassi, quali decisioni?

Neanche il tempo di finire di scriverlo e il mercato azionario USA ieri è stato pesantemente influenzato dal rilascio delle minute del FOMC (Federal Reserve, Banca Centrale Usa) di dicembre dal quale trapelano dettagli non irrilevanti:

  1. è confermato per marzo l’orientamento verso il primo aumento del Fed Funds rate (e questo già lo sapevamo);
  2. il processo di smantellamento degli attivi del bilancio FED può iniziare «relativamente subito dopo» il rialzo dei tassi. Questo è una novità, perché l’orientamento era verso un intervento di questo tipo nella seconda metà dell’anno;
  3. il processo si svolgerà in modo abbastanza rapido; più accelerato del precedente di ottobre 2017.

Quali sono le problematiche per inflazione e tassi?

Finora le banche centrali hanno avuto gioco facile in quanto si sono trovate a fare una partita contro un nemico silente: l’inflazione. Infatti le politiche economiche espansive sono state messe in atto con una inflazione praticamente nulla. Questo ha comportato innanzitutto l’immissione di una enorme quantità di liquidità sul mercato di cui hanno beneficiato in particolare i mercati azionari ed in secondo luogo ha favorito l’effetto leva.

In particolare con tassi praticamente nulli, che significa prendere a prestito senza pagare interessi, il mercato azionario è stato sostenuto oltre che dalle politiche monetarie accomodanti da tutti quei player che per effetto di un costo irrisorio del debito si sono indebitati per acquistare azionario.

Di fronte ad uno scenario del genere però, con una inflazione che si è presentata in modo più che deciso, le banche centrali saranno costrette ad intervenire prima che la situazione possa sfuggire di mano. La conseguenza di questi interventi sarà che i mercati si muoveranno in modo più violento rispetto a quanto siamo stati abituati a vedere negli ultimi anni.

Questo perché chi dovrà coprire le proprie posizioni debitorie (i soldi presi a prestito) lo farà vendendo gli asset acquistati con liquidata presa in prestito e oltretutto per effetto di un aumento dei tassi è probabile uno spostamento della liquidità dall’azionario verso altri asset.

Tutto questo cosa vuol dire?

Finora la FED ha non solo comprato titoli impiegando la liquidità a ciò destinata (120 miliardi al mese, che ora scaleranno fino a 0 miliardi a marzo); ma reinvestiva cedole incassate e titoli via via scaduti.

Ora si dà esplicito mandato affinché i titoli in scadenza siano incassati e basta, con il rimborso ottenuto dal Tesoro che andrebbe ad annullare la “creazione” di moneta disposta a suo tempo. Il bilancio della FED procede verso la riduzione, e questo potenzialmente già fra poco più di tre mesi.
Ricordiamoci che l’ultima lettura dell’inflazione USA è pari al 6,8% annuo, la FED ha l’obbligo per mandato di tenere sotto controllo i prezzi con target annuale attuale moderatamente sopra al 2% e oggi siamo a 3 volte l’obiettivo. Quest’anno il tema “ripresa – dinamica inflazione – dinamica tassi di interesse” sarà fondamentale per i mercati azionari che salgono ininterrottamente da oltre 10 anni anche grazie alle straordinarie politiche accomodanti delle banche centrali e all’utilizzo della leva finanziaria (ci si indebita a tassi zero e si comprano asset finanziari).

Fino ad ora è andato tutto liscio perché l’inflazione non si vedeva da decenni, gli interventi espansivi fiscali a sostegno dell’economia hanno fatto ricomparire velocemente l’inflazione e questo neanche le banche centrali lo avevamo previsto.